Il concerto
Federico Martinelli e la sua gang hanno deciso di portare alla prima giornata della quarta edizione di Clusone Rock nientepopodimeno che Revenge e Praying Mantis. Roba non da poco! I Revenge salgono sul palco quando i colori della sera stanno scendendo sulla cittadina bergamasca. Il loro show si muove con equilibrio tra i pezzi storici della band e gli estratti dal nuovo disco ‘Survival Instinct’. Le nuove ‘Survival Instinct’ e ‘Crazy Nights’ infiammano a dovere i presenti e suggellano bene un concerto che è volato via all’insegna della maestria strumentistica e della passione per il rock duro. Due valori che la band pesarese possiede nel profondo della sua anima. E non da ieri ma dai primi anni ’80…
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Quando salgono sul palco i Praying Mantis gli animi sono già caldi. L’ordinato pubblico di Clusone inizia a farsi più disordinato e irrequieto. La band britannica (con inserti olandesi), parte forte con l’opener del recente ‘Legacy’, ‘Fight For Your Honour’. I fratelli Troy sono sul palco in compagnia di Andy Burgess e del duo proveniente dai Paesi Bassi, composto da John Jaycee Cuijpers alla voce e Hans in’t Zandt alla batteria. Seguono a ruota le storiche ‘Panic In The Streets’ e ‘Praying Mantis’, in cui il singer si destreggia in modo esemplare confermando quanto di buono ha mostrato sull’album. ‘Believable’, ‘The One’ e ‘The Runner’ completano la lista degli estratti dal nuovo album, ma uno sguardo al recente passato non manca con la proposta di brani come ‘Time Slipping Away’ e ‘Borderline’ dall’album ‘Predators In Disguise’, o della bellissima ‘Dream On’ e di ‘Rise Up’ da ‘A Cry For The New World’. La mitica ‘Turn The Tables’ chiude il set principale nel tripudio di giovani fan e chiome più datate. Il ritorno al passato continua con ‘Children Of The Earth’ e si chiude con ‘Captured City’. Ci svegliamo dalla nebbiosa Londra dei primi anni Ottanta, rendendoci conto che Clusone Rock 2016 ci ha mostrato una grande band ritrovata, un singer potente e convincente che ha piani ben chiari per continuare con questo gruppo, come potete leggere qualche riga più in basso. Ben ritrovati ai Revenge, bentornate le mantidi!
L’intervista esclusiva
Non vi presentavate con un album in studio da qualche anno quando avete pubblicato ‘Sanctuary’. Un album di successo che vi ha riportato in giro per il mondo. Perché avete deciso di cambiare 2/5 della band dopo un disco che sembrava avesse colpito nel segno?
Chris: E’ una domanda molto difficile. Hai ragione ‘Sanctuary’ ha avuto molto successo. Amiamo Mike. E Mike è un ottimo cantante che aveva fatto un lavoro superbo sull’album. Dal vivo c’era qualcosa che si poteva migliorare. Ma circa 3 anni e mezzo fa avevamo visto cantare John con la sua band al Very ‘Eavy Festival ed eravamo rimasti davvero colpiti. Ci eravamo detti: “Pensa cosa potremmo fare con un singer così potente…”. Sentivamo di poter elevare la band ad una nuova dimensione. Come hai potuto vedere stasera abbiamo molta più confidenza adesso e ci sentiamo a nostro agio gli uni con gli altri. Lavoriamo bene insieme…
Andy: Sono molto amico di Mike, ma penso che abbiamo cambiato per il meglio. Avevamo visto JayCee e Hans suonare con i Parris a Dublino, quando io suonavo con i Grand Slam. Ero completamente ubriaco e abbiamo fatto qualche vecchio brano dei Thin Lizzy insieme in acustico. L’atmosfera era fantastica. Poi ci è capitato di suonare insieme come Parris e Praying Mantis. Quando abbiamo capito che dovevamo cambiare batterista e cantante… Erano pronti a unirsi a noi.
John, c’è una sfida di fronte a te… John: Ce ne sono diverse…
Una di queste è legata al fatto che nessun cantante ha mai realizzato due dischi in studio con i Praying Mantis in passato? Tu pensi di farcela? Quali saranno le chiavi della tua riuscita?
John: Ce la farò. Riuscirò a fare un secondo album con i Praying Mantis. Perché ho la passione e la volontà per farcela. Voglio scrivere canzoni con questi ragazzi. Mi piace scrivere pezzi che esprimano la mia passione e i miei sentimenti. Questi ragazzi sono dei songwriter incredibilmente dotati. Magnifici. È stata come una rivelazione. Mi sono sentito come Gesù Cristo che risorgeva dalla tomba quando ho incontrato loro e ho iniziato a lavorare con la band.
Chris: Abbiamo molto in comune con Hans e John. Ci piacciono le armonie vocali complesse, ci piacciono i pezzi articolati di band come Journey, Foreigner, … Abbiamo molte cose in comune.
Tino: John può riuscire dove altri hanno fallito perché ha grande entusiasmo ed è molto dedicato. Lui scrive pezzi molto bene, qualcosa che gli altri non facevano. Sta già scrivendo pezzi con grande melodia per il prossimo disco. È perfetto per i Praying Mantis.
Hans: Ce la possiamo fare. Suono con JayCee da tantissimi anni, una ventina. Abitiamo a due passi e siamo grandi amici. Siamo dedicati completamente al rock, a divertirci, a fare bene il nostro lavoro. Essere nei Praying Mantis è fantastico. C’è una grande alchimia e possiamo davvero fare grandi cose.
Sono rimasto colpito dal fatto che nel presentare il vostro nuovo album ‘Legacy’, abbiate sottolineato il contributo dei ‘nuovi arrivati’ in fase di songwriting come uno degli elementi fondamentali del disco. Cosa c’è stato di differente tra le fasi di scrittura di ‘Sanctuary’ e quelle del successivo ‘Legacy’?
Chris: Le fasi di scrittura di ‘Sanctuary’ sono state in qualche modo più cliniche di quanto sia stato il concepimento di ‘Legacy’. Con il nuovo disco c’era più feeling tra di noi. Nessuno è mai venuto fuori dicendo: “Questa è la mia canzone!”. Tutti portavano delle idee e se poi uno riusciva a svilupparle meglio di un altro si andava in quella direzione. Non c’era egoismo tra di noi.
John: E questo è elemento fondamentale per la riuscita di un lavoro!
John, se dovessi scegliere un album dei Praying Mantis in cui tu non hai suonato, su quale disco cadrebbe la tua scelta?
John: La mia scelta è ‘Time Tells No Lies’. Ho dovuto impararlo tutto per il Keep It True Festival.
Parlatemi un po’ del nuovo album. Qual è il vostro brano preferito?
Tino: Posso rispondere tutte? (… ride, ndr) Sceglierei forse ‘Here To Stay’, un pezzo che ho scritto e che è comparso come bonus track per la versione giapponese dell’album. È un pezzo diretto, molto grezzo, nudo. Non c’è molta batteria e nulla che trasformi la sua dolcezza. C’è stato un sacco di lavoro e tutto fatto bene. Tutti i pezzi mi piacciono un sacco. Andy ha scritto alcuni pezzi molto belli e i nuovi ragazzi hanno fatto un gran lavoro. Vogliamo farne un sacco di altri. E come ti ho detto siamo già al lavoro su diverse nuove canzoni che andranno a comporre il nostro prossimo lavoro.
Sono rimasto molto colpito dal fatto che parecchie persone tra il pubblico di questa sera non sapessero che, dopo ‘Time Tells No Lies’, il monicker Praying Mantis fosse rimasto ‘fermo’ per ben 9 anni. Tino, vuoi far luce una volta per tutte su quel periodo della vostra storia?
Tino: Volentieri. Fu una situazione molto strana. In realtà realizzammo e registrammo in uno studio in Germania il nostro secondo album. Ma poi subimmo tantissimi problemi con il management. Questi si trasformarono in questioni legali e il lasso di tempo che ci volle per risolvere quelle questioni fu sufficiente da farci perdere il treno. Fu orribile. Ad altre band andò meglio… Iron Maiden, Def Leppard, altre band della NWOBHM salirono sul carro, ma noi no. Dave Potts, il batterista della nostra formazione originale era molto amico di Clive Burr. Loro vivevano nella medesima zona e quando Clive perse il suo posto negli Iron Maiden, ci parse una buona idea coinvolgerlo in quello che diventò prima il progetto Clive Burr’s Escape e poi il disco degli Stratus. In quel periodo volevamo provare a spostarci verso un sound più AOR, di stampo americano, ma i tempi non erano pronti. Abbiamo perso la strada e il successo per noi non arrivò. Provammo a ripartire con Bernie Shaw, allora nei Grand Prix e poi con gli Uriah Heep. Il materiale che preparammo non era male, ma non se ne fece nulla. Finimmo per scioglierci. Era più o meno il 1985. Nel 1990 mi contattò Dennis Stratton e mi disse che Paul Di’anno aveva un’idea in mente. L’idea era di andare in Giappone con una band che includesse Paul, Dennis e i Praying Mantis. L’idea di Paul inizialmente era quella di fare il tour con i Battlezone, ma Masah Itoh non era d’accordo. Lui suggerì di formare la band che ti ho appena citato. Facemmo qualche prova con i pezzi dei Maiden e dei Mantis. Fu un grande successo. E i Praying Mantis sono rinati. Con Paul le cose terminarono abbastanza presto, ma con Dennis sono andate avanti molto bene.
Cosa c’è nel futuro prossimo dei Praying Mantis?
Andy: Faremo ancora alcuni album con la Frontiers Records, questi sono i piani. Chris, Tino e io ci rimetteremo presto a scrivere. Ho già 2 o 3 pezzi quasi pronti e prevediamo di registrare a metà del prossimo anno. L’uscita potrebbe già essere verso fine 2017. Ci sono anche alcuni piani legati al back catalogue ma ci sono questioni legali da risolvere. La Rock Candy Records ha ripubblicato ‘Time Tell No Lies’, per il resto vedremo.
Andy, come hai scoperto i Praying Mantis?
Andy: Adoro ‘Time Tells No Lies’. Lo adoravo già da ragazzo e ai tempi della scuola ho visto un sacco di volte Iron Maiden e Praying Mantis suonare al Marquee di Londra. Che tempi. Erano serate pazzesche. Compravamo una birra, sceglievamo una canzone e durante quella ce la versavamo in testa sotto il palco. Avevamo i capelli lunghi allora. Pazzesco. Ricordo che passai i miei guai per aver scritto Praying Mantis sulla palina della fermata del bus vicino a casa mia. Dieci, vent’anni dopo mi capitò di suonare con Chris e Tino in una Irish Rock band. L’abbiamo fatto per una decina di anni. Poi mi hanno chiesto di entrare nel gruppo e abbiamo fatto ‘Sanctuary’, sul quale ho anche scritto un paio di brani. Poi ‘Legacy’, nel quale sono stato parecchio coinvolto, nella produzione e nella scrittura dei brani. La dinamica all’interno della band è fantastica. Lavoro benissimo con John, io abbozzo un pezzo e lui lo canta alla grande. Ci sono eccellenti presupposti per il futuro.
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