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Bruce Dickinson - Accident Of Birth (CD) - 1997 PDF Stampa E-mail
Domenica 24 Giugno 2012 07:06 MaZZo   

accidentofbirth


( 3 Voti )

Ormai ne sono definitivamente convinto: quando si tratta di imbastire una inconsulta dissertazione ideologica sui nostri gruppi favoriti, noi metallari siamo peggio dei vecchi comunisti sessantottini. Da sempre ci contraddistinguiamo per la dubbia capacità di complicarci tremendamente la vita, bisticciando senza costrutto circa la coerenza musicale di una band, l’onestà che sta dietro ad un cambio di sound o la genuinità di un album.

Sotto un certo profilo, tutto ciò è lodevole: denota (quando non è polemica fine a se stessa, come spesso accade quando si parla di Iron Maiden) attaccamento alla causa, capacità critica ed analitica; d’altra parte, simile atteggiamento rischia di allontanare eccessivamente il fulcro dell’attenzione dagli aspetti, in definitiva, più importanti.
Ora, perché mai cominciare una recensione con tale incipit?
Presto detto: lo scrivente ricorda bene commenti e pareri riservati ad Accident of Birth, quinta fatica solista di Bruce uscita nel 1996. I più gettonati suonavano grosso modo così:
<< Il ritorno al metal classico è un mero ripiego, una scelta dettata unicamente dall’insuccesso dei precedenti dischi >>;
<< Evidentemente ha finito i soldi, e ha deciso di tornare a spremere le tasche di noi poveri metallari >>;
<< Per anni ha detto che l’heavy l’aveva stancato, e adesso come per magia se ne è innamorato nuovamente? >>
<< Che opportunista: gli Iron arrancano con Blaze alla voce, e lui sforna un album fatto apposta per ingolosire le orde di Maiden fans delusi >>.
Sia chiaro: non è mia intenzione difendere a spada tratta Bruce, né mettere la mano sul fuoco sulla sua sincerità nel tornare, dopo anni di sperimentazioni musicali poco proficue, al genere che l’ha reso famoso. Ad onor del vero, una sommaria analisi del substrato storico porterebbe a pensare che, in fondo, un modicum di calcolo e strategia dietro le decisioni del singer britannico fosse presente.
Vi riporto alcuni dati a suffragio della tesi cospirazionista: gli Iron, in effetti,  vivono un momento di flessione in termini di popolarità, e The X Factor (a parere dello scrivente, peraltro, disco meraviglioso) incontra molte critiche fra gli addetti ai lavori. E il buon Dickinson cosa ci combina? Contatta Adrian Smith (anch’egli impelagato in un progetto artisticamente valido ma commercialmente deficitario coi suoi Psycho Motel) e gli chiede di riformare la premiata coppia che, in seno alla Vergine, aveva composto alcuni pezzi immortali. Dopodiché si rivolge a Derek Riggs, storico cover artist degli Iron “accantonato” da Fear of the Dark in poi; da lui vuole una nuova mascotte, che troneggi sull’artwork di copertina. Il personaggio, pensate un po’, verrà chiamato Edison (avrete colto il gioco di parole: Eddie’s son).
Insomma, tali indizi fanno sorgere più di un sospetto sulla genuinità di un progetto che forse, oltre all’urgenza artistica, celava altresì una discreta dose di marketing.
Già, ma concesso tutto questo resta un piccolo particolare da analizzare: Accident of Birth è uno dei migliori dischi di heavy metal classico usciti negli anni ’90. Ecco perché ritengo che, di fronte a lavori di siffatto lignaggio, ci si possa mettere il cuore in pace, accantonare per una volta le proprie remore morali e dedicarsi al semplice ascolto. Ne vale la pena, ve l’assicuro.
Dunque, basta con la dietrologia: parliamo di musica!
Oltre al già citato Smith alla chitarra, il nostro adorato cantante decide saggiamente di avvalersi della band che aveva suonato su Balls to Picasso, i Tribe of Gypsies, ed affida la produzione dell’album al chitarrista della band, il fidato Roy Z. Come si sarà ormai intuito, le coordinate musicali non abbisognano di disamine profonde: si parla di sano heavy metal in cui aggressività, melodia, classe ed epicità convivono in piena armonia. L’infallibile ricetta fatta di pezzi veloci e mid tempos rocciosi, conditi da alcune sognanti ballads, riesce a deliziare l’ascoltatore, mantenendo il sapore dell’album prelibato e stuzzicante per tutti i 54 minuti di durata.
Già l’irruento riff dell’aggressiva opener Freak riesce a catturare la nostra attenzione, catapultandoci con successo nell’atmosfera del cd. La voce di Bruce, inoltre, appare da subito in stato di grazia. Ottimo inizio.
Dopo una breve (e, tutto sommato, non imprescindibile) intro dal flavour spaziale chiamata Toltec 7 Arrival, irrompe nello stereo la sontuosa Starchildren, un eccellente mid tempo in grado di dispensare a piene mani potenza e classe.
È poi tempo per la prima power ballad del disco: Taking the Queen passa l’esame a pieni voti, mettendo in bella mostra un testo drammatico, un incedere ricco di pathos ed una magistrale interpretazione di Dickinson (in particolar modo nello spicchio centrale del brano).
Con la quinta song in scaletta, a mio modo di vedere, i nostri eroi calano il primo asso: Darkside of Aquarius. Contraddistinta da una partenza soffusa, che lascia spazio ad un riff tagliente e ad un chorus stupendo, la traccia mantiene alta l’attenzione dell’ascoltatore grazie all’efficace prestazione strumentale di tutti i musicisti ed all’azzeccato finale con tanto di coretto maideniano alla Heaven Can Wait.
Altro giro, altro regalo: la successiva Road to Hell ammalia letteralmente col suo incedere dirompente e con le sfavillanti melodie di chitarra. Occhio all’irresistibile ritornello: potrebbe insediarsi nel vostro cervello e non uscirne più per molto tempo…
Bruce decide di viziarci, e continua a snocciolare pezzi da novanta con disarmante semplicità: è ora la volta di Man of Sorrows, ballata davvero sopraffina. Arrangiata superbamente, perfetta in ogni sua fase e graziata da un assolo di Adrian Smith che mi fa venire i brividi ogniqualvolta l’ascolti: difficile far meglio di così. Le lyrics narrano dei dilemmi di giovinezza di Aleister Crowley, e come saprete il pezzo era stato concepito per fungere da soundtrack del film The Chemical Wedding, per l’appunto basato sulla misteriosa figura dell’occultista inglese. Dopo anni di stallo, Bruce è riuscito a portare a termine anche questo progetto, firmando colonna sonora e sceneggiatura della pellicola (da rilevare anche un suo piccolo cameo durante la prima scena).
Giungiamo poi alla title track, quella Accident of Birth che il singer di Worksop decise (a ragione!) di usare come opener nel successivo tour. La leggenda vuole che sia stato proprio il massiccio riff che apre la traccia a convincere Dickinson a tornare al metal. Profondamente scoraggiato per l’indifferenza con cui Skunkworks era stato accolto, Bruce viveva un amaro periodo di crisi d’identità e stallo creativo. Pare che una provvidenziale telefonata di Roy Z, nella quale il chitarrista gli sottopose il summenzionato riff, l’abbia spronato a partire per Los Angeles il giorno successivo per imbarcarsi nel nuovo progetto. Al di là delle ricostruzioni storiche, stiamo senza dubbio discutendo di un gran pezzo di metal moderno e classico al tempo stesso.
Ancora heavy britannico con The Magician, che si distingue per un mood più scanzonato ed allegro (corroborato da un testo piuttosto scherzoso). Forse non un highlight assoluto del disco, ma una gran bella canzone cionondimeno.
Evidente cambio di sound nella decima traccia, Welcome to the Pit: siamo al cospetto di un altro mid tempo, dall’incedere sornione e cadenzato. Le melodie non sono memorabili, ed il chorus non convince fino in fondo; a parere dello scrivente, siamo di fronte ad una versione embrionale ed imperfetta del sound poi esplorato con grande successo col successivo The Chemical Wedding.
Con Omega, per fortuna, torniamo su livelli di eccellenza assoluta. Canzone dall’incedere tipicamente maideniano, che parte lenta ed atmosferica per poi esplodere in un ottimo ritornello e in un indiavolato break strumentale. Da leccarsi i baffi.
Spetta ad Arc of Space l’onore e l’onere di chiudere il platter. Si sta discettando di un lentone con tanto di chitarra spagnoleggiante, che si fa apprezzare grazie alla incredibile prestazione vocale offerta da Bruce Bruce, ai massimi livelli per estensione e lirismo. Non sarà Tears of the Dragon, ma non possiamo certo lamentarci.
Purtroppo, tanto è bello l’album quanto trascurabile il cd bonus presente nella ristampa del 2005. Oltre alla buona Ghost of Cain, siamo perlopiù al cospetto di una non elettrizzante carrellata di demo versions delle canzoni poi finite su disco. Quantomeno curiosa la versione di Man of Sorrows cantata in spagnolo, che ci mostra un Dickinson inaspettatamente a suo agio con l’inusuale idioma.
Tralasciando tali quisquilie, mi permetto infine di tornare alle considerazioni svolte in premessa: non sono in grado di dire se questo sia un lavoro costruito a tavolino, non ho modo di sapere se il rinnovato sodalizio con Adrian Smith sia stato un tentativo di salvare due carriere in caduta libera né posso aver certezza dell’effettiva voglia della Air Raid Siren di rituffarsi nel passato. Mi limito ad evidenziare che Accident of Birth è un capolavoro assoluto, e che molto semplicemente non può mancare nella vostra collezione.
Bentornato Bruce!

Marco Caforio