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Bruce Dickinson - Tattooed Millionaire (CD) - 1990 PDF Stampa E-mail
Sabato 05 Maggio 2012 10:28 MaZZo   

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( 3 Voti )

Quant’è bella giovinezza che si fugge tuttavia…
Il celebre verso di Lorenzo de’ Medici ha più volte fatto capolino nella mia testa durante l’ascolto della prima fatica solista di Bruce, quel Tattooed Millionaire risalente al lontano 1990. Mi rendo conto che alcuni freddi dati anagrafico/numerici parrebbero confutare la mia suggestione letteraria: in effetti, ai tempi dell’incisione dell’album, Dickinson non poteva certo essere considerato uno sbarbato verginello del metal.

A ben vedere, aveva già superato la soglia del trent’anni, inciso una decina di dischi (tra Samson e Iron) e ammaliato milioni di fans durante centinaia di concerti in giro per il globo. In qualche modo, il singer di Worksop poteva già essere considerato un veterano della scena; eppure, questo disco comunica al sottoscritto una furiosa volontà di trasmettere la freschezza, l’entusiasmo e la spontaneità che ci si aspetterebbe da una band di pischelli approdati al debut album. In sostanza, quello che gli stessi Maiden cercarono di ottenere poco dopo col loro No Prayer for The Dying, purtroppo senza centrare appieno l’obiettivo.
E Tattooed Millionaire riesce nell’arduo intento? Mi sentirei di dire che il suo sound così naturale ed istintivo ne costituisce, al tempo stesso, il maggior pregio ed il più evidente limite.
Di certo, ogni fedele della Vergine di Ferro sarà in grado di individuare svariati motivi, di natura sia pratica che emotiva, che hanno condotto Bruce su simili binari stilistici; in ogni caso, mi permetto una breve dissertazione in tal senso.
In primis, è d’uopo ricordare che questo lavoro nacque in modo del tutto estemporaneo, con la registrazione della song Bring Your Daughter… To the Slaughter per l’ennesimo, deludente sequel di Nightmare (sappiamo tutti che il brano in questione, similmente a quella Reach Out composta da Adrian Smith per il progetto Asap, venne poi fagocitato dai Maiden per intercessione dell’onnipresente Steve Harris). In ogni caso, il pezzo impressionò favorevolmente la casa discografica, che chiese a Dickinson se ne avesse pronti altri per un eventuale lavoro solista; mentendo spudoratamente, Dickinson rispose di sì. I successivi passi della storia prevedono il reclutamento di buoni musicisti (fra cui il “nostro” Janick Gers) che l’affiancassero per il progetto, un fulmineo lavoro di songwriting e l’altrettanto repentina registrazione delle canzoni, ad opera del celebre producer Chris Tsangarides, ai Battery Studios di Londra. Il risultato, in conseguenza di ciò, non poteva che risultare scevro di pezzi eccessivamente articolati o di arrangiamenti troppo ricercati.
In aggiunta a ciò, sono convinto che Bruce (come d’altra parte la stessa band madre) avesse ai tempi una pazza voglia di semplicità, dopo due album sì epocali, ma dal sound molto elaborato come Somewhere In Time e Seventh Son of the Seventh Son.
Credo, altresì, che lo stato della sua voce richiedesse un approccio stilistico più “easy listening”: chiunque abbia avuto modo di ascoltare registrazioni live del precedente tour della Vergine di Ferro, si sarà reso conto di quanto Dickinson arrancasse sulle note più alte, e già dopo poche canzoni. Dunque, in Tattooed Millionaire viene parzialmente accantonato l’operatic style drammatico ed epico che l’ha reso (giustamente!) famoso, in favore di un approccio al canto ben più sbarazzino, sporco ed abrasivo (per intenderci, lo stesso che utilizzerà negli stessi Maiden per i successivi No Prayer for The Dying e Fear of the Dark).
Infine, pur non conoscendo (purtroppo) personalmente l’artista britannico, mi permetto di avanzare un’ulteriore interpretazione psicologica: è mia ferma convinzione che, oltre alle osservazioni sopra svolte, un ruolo fondamentale nella scelta del sound l’abbia giocato un senso di frustrazione ed insoddisfazione che iniziava a serpeggiare nel suo animo. La voglia di affrancarsi artisticamente e, perché no, anche ideologicamente dalla band madre, e di percorrere sentieri mai battuti prima, lo ha portato ad abbracciare con convinzione alcune soluzioni molto “soft”, che mai avrebbero passato il vaglio del boss Steve Harris (circostanza, peraltro, che Bruce aveva già sperimentato sulla sua pelle, allorquando vide i pezzi acustici e folk da lui composti per il sesto studio album degli Iron clamorosamente bocciati in blocco).
Le coordinate musicali, ormai, le avrete intuite: ci troviamo di fronte ad un platter più affine all’hard rock che all’heavy metal, composto da canzoni mediamente brevi, senza fronzoli, contraddistinte da linee melodiche semplici e da ritornelli accattivanti.
La maggior parte delle composizioni, per fortuna, suona effettivamente fresca, vivace e vitale; possiamo inserire con pieno merito nella categoria la godibile opener Son of a Gun, l’irresistibile title-track, l’anthemica Dive! Dive! Dive! e la convincente versione di All the Young Dudes (cover dei Mott the Hoople). Altri pezzi, al contrario, paiono artatamente commerciali e forzatamente “americanizzati”, il che appare quantomeno singolare, alla luce delle numerose critiche al vetriolo scagliate da Bruce alla scena metal a stelle e strisce in generale e losangelena nello specifico. Impossibile non citare, in questo senso, la sconcertante accoppiata Lickin’ the Gun/Zulu Lulu (che lo stesso Bruce ha avuto modo di disconoscere in future interviste, ritenendola a ragione troppo distante dal suo stile).
Anche le lyrics, duole dirlo, risultano spesso e volentieri involute, banalmente volgari, ed in alcuni frangenti addirittura imbarazzanti. Ben venga il distacco dai rimandi letterari e storici tipici dei Maiden in favore di temi più leggeri, ma le stucchevoli dissertazioni sulla libertà di Born in ’58 (peraltro, buonissimo pezzo) e Gypsy Road (decisamente meno), o i beceri ammiccamenti sessuali della già menzionata Lickin’ the Gun potevano di certo essere risparmiati.
In ogni caso, Tattooed Millionaire scorre via senza grossi tentennamenti: i suoni sono appropriati; le prestazioni strumentali, pur lungi da qualsivoglia virtuosismo, risultano più che positive, le buone idee non mancano… Purtroppo, alcune scelte lasciano l’amaro in bocca, ed impediscono al disco di assurgere allo status di “grande” lavoro. Si rimane, quindi, nel limbo dei dischi “più che buoni”, e da un artista della levatura di Dickinson, forse, sarebbe stato lecito pretendere qualcosa in più.
Invito il lettore, in ogni caso, a non interpretare in modo eccessivamente punitivo le mie parole: le perplessità esposte, infatti, derivano dall’immensa considerazione e ammirazione che da sempre nutro per la Air Raid Siren, e che mi portano ad aspettarmi da lui sempre e comunque il capolavoro. Qui, come detto, tale risultato non viene raggiunto, ma non per questo l’album deve essere considerato disprezzabile.
Anzi: giacché ci siete, optate per la ristampa in doppio cd uscita nel 2005. Così facendo, potrete usufruire di alcune succulente b-side, tra cui la divertita Ballad of Mutt (dal testo ironicamente misogino), la malinconica Darkness Be My Friend e l’indiavolata live version di Riding With the Angels (uno dei migliori pezzi dei Samson della Bruce-era).
In conclusione mi sento di consigliare Tattooed Millionaire, al di là dei difetti e dei limiti sopra descritti, ad ogni fan di Bruce e della Vergine. La giovinezza del nostro adorato singer sarà pur fuggita, ma grazie a questo disco potrete senza dubbio riassaporarne alcuni attimi.

 

Marco Caforio