Venerdì 03 Settembre 2010 11:34
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| È il 1980. Cinque ragazzi, dopo cinque anni di peripezie, cambi di line up e un’unica demo (The Soundhouse Tapes) registrata l’anno prima, riescono finalmente a coronare il loro sogno e a pubblicare il loro debut album. I 'nostri' sono ragazzi qualunque, che rispondono ai nomi di Dave Murray, Dennis Stratton, Clive Burr, Paul Di’Anno e Steve Harris. Nomi che corrispondono a LEGGENDA, e non solo per i fan del genere, ma anche per moltissimi altri appassionati di musica.
Insomma, una delle prime formazioni degli Iron Maiden porta a compimento la prima fatica sfornando un disco in puro stile New Wave Of British Heavy Metal, compresa la non ottima produzione (anche se decisamente migliore rispetto agli standard dell’epoca) curata da Will Malone e i suoni che, per le nostre orecchie di ascoltatori del 2010, non sono esattamente puliti e piacevoli, ma piuttosto secchi e molto più in linea con lo stile punk.
Il disco comincia con un attacco di chitarra che rimarrà impresso nella mente di qualunque fan, perché di questo CD ti innamori da subito, da quando le due chitarre di Dave Murray e Dennis Stratton producono le prime, fondamentali note della storia della band. Stiamo chiaramente parlando della opener di tutte le opener: 'Prowler'. Il riff breve e preciso precede di pochissimo, senza troppi fronzoli, la voce graffiante di un giovane e non ancora rovinato Paul Di’Anno, che dà davvero il meglio di sé in questa opera prima. La prima impressione che ci danno questi ragazzi è più che ottima, e Dave Murray ci delizia con un assolo di superba fattura.
Mentre sfuma 'Prowler', 'Sanctuary' prende il suo posto: traccia non presente nella primissima edizione del disco, ma uscita come singolo a parte un mese dopo in UK (con una copertina divenuta leggenda, che fece scalpore all’epoca: raffigura Eddie che uccide l’allora primo ministro Margaret Thatcher!) e aggiunta come brano numero 2 per l’uscita del debutto della Vergine di Ferro negli States. Questa traccia, oltre ad essere, come la maggior parte delle canzoni di questo album, molto diretta e spedita, è contraddistinta da un testo molto ribelle, in pieno stile punk, genere che in quegli anni dominava incontrastato in Inghilterra e in tutto il mondo. In questo brano, che negli anni a venire ha trovato posto moltissime volte in sede live, abbiamo anche il piacere di ascoltare per la prima volta Dennis Stratton all’opera su un assolo, il primo, mentre il secondo viene eseguito con grande maestria da Murray, che piano piano impariamo a conoscere per quello che è poi diventato nel corso degli anni: un mago, con la sua inseparabile chitarra!
È poi la volta di 'Remember Tomorrow', una canzone molto particolare: Paul Di’Anno né scrive il testo, dedicandolo al padre. La partenza lenta caratterizzata da un bell’arpeggio non deve ingannare l’ascoltatore: verso la metà, tutta la grinta e la carica del pezzo vengono fuori in un esplosione di chitarre, unite all’immancabile basso del fondatore Steve Harris (già praticamente onnipresente), il quale comincia subito a farci apprezzare la sua bravura, anche in fase compositiva. Il vecchio Steve mette le mani su tutte le tracce di questo album, ad eccezione di 'Charlotte The Harlot', di cui parleremo successivamente, perché subito dopo l’introspettiva 'Remember Tomorrow' è la volta di uno dei cavalli da battaglia degli Iron Maiden, una canzone che ha dato la carica a migliaia di ragazzi in giro per il mondo. Clive Burr attacca con la sua batteria e una delle song più grintose mai scritte dai Maiden prende il volo: sto chiaramente parlando di 'Running Free'. Chi non è stato rapito al primo ascolto dalla canzone?
“Just sixteen a pickup truck
Out of money out of luck
I’ve got no place to call my own
Hit the gas and here I go
I’m Running Free yeh, I’m Running Free!”
Versi che potrebbero addirittura definirsi immortali, se ora, a trent'anni esatti dall’uscita del disco, riescono ancora ad emozionare qualcuno con la loro semplicità e la loro carica di energia inesauribile.
Dopo le prime quattro tracce, se non hai mai ascoltato nient’altro targato Iron Maiden, pensi di aver capito più o meno come funzionano le cose da queste parti, e hai commesso il primo grosso errore! Harris fa subito capire quanto stai sbagliando piazzando una delle più grandi canzoni mai concepite dall’essere umano: le chitarre si inseguono in uno dei più celebri attacchi della storia del Metal, dando via a quel brano dall’immensa bellezza chiamato 'Phantom Of The Opera'. Ogni volta che il riff del brano si propaga nella stanza e raggiunge le mie orecchie, un brivido mi percorre. Tutta la band, nella sua grandezza, fornisce una prova maiuscola, dando vita ad un Capolavoro senza precedenti e consegnandolo alla storia per la gioia degli ascoltatori, che non possono rimanere impassibili davanti a cotanta perfezione. È qui, su questa traccia, che per la prima volta (cronologicamente parlando) si compie, almeno per chi scrive, l'incantesimo: quando la musica degli Iron Maiden ti entra fin dentro le ossa, fin dentro l’anima, regalandoti qualcosa che nessun altra band riesce a darti. Questa è magia pura. E così, mentre l’immortale basso di Steve Harris compone le sue prime inconfondibili cavalcate, le chitarre di Murray e Stratton si inseguono e si affrontano, combattono e si abbracciano in una musica quasi divina. Sette minuti di poesia, di musica allo stato puro.
Conclusa 'Phantom Of The Opera', si passa ad un altro tassello fondamentale sul quale i Maiden hanno costruito il loro futuro fatto di capolavori e successi senza eguali: 'Transylvania', la prima di una breve serie di canzoni interamente strumentali. In realtà inizialmente avrebbe dovuto avere un testo, ma la band decise, dopo averla sentita completa, di tenerla così come oggi possiamo ascoltarla anche noi. E dobbiamo ringraziarli, perché in questo modo possiamo apprezzare in tutta la loro bellezza cristallina i due assoli che la canzone contiene: il primo di Dennis Stratton, il secondo del buon vecchio Dave. E mentre si spegne questo superbo strumentale, le nostre orecchie vengono a contatto con una lenta melodia, che lentamente si insinua dentro di noi. È 'Strange World', composta interamente da Harris, che pare si sia ispirato ad un sogno prima di scrivere una ballata molto particolare, veramente toccante e densa di pathos: appena la voce di Paul fa nuovamente capolino, sembra quasi di vederlo questo 'strange world' sognato da Harris. Quando un brano ha il potere di portarti al suo interno con questa facilità, allora è un brano di notevole fattura e di una bellezza quasi mistica. Questo è 'Strange World', in tutta la sua bellezza e poeticità, la cui prima edizione (insieme a 'Prowler' e 'Iron Maiden') è contenuta nel demo The Soundhouse Tapes, con una produzione ancora peggiore di quella del disco in esame: fortunatamente le tracce sono state ri-registrate l’anno seguente. Le note dell’assolo, inoltre, raggiungono direttamente il cuore e infondono il messaggio della canzone con un potere magico. Qualcosa di davvero indescrivibile!
Charlotte, come dice il nome della canzone, era una prostituta. E Dave Murray, scrivendo 'Charlotte The Harlot' tutto da solo, ha voluto dedicarle una canzone. Che questa sia leggenda o corrisponda a verità non importa, quello che ci interessa è che la canzone che Dave ha composto è grintosa e allo stesso tempo melodica nella parte centrale. Unisce una carica energetica a una melodia dolce e delicata, con due assoli (il primo eseguito da lui) di rara bellezza, che risaltano ancora di più se messi a confronto con quelli rozzi dell’epoca. Nel finale, la grinta torna fuori con potenza disumana e, senza nemmeno accorgertene, ti ritrovi a cantare il ritornello della canzone insieme a Di’Anno, accompagnandolo fino al finale, dove ritorna il riff principale.
A questo punto, non resta che l’ultima traccia di questo monumentale disco. Il titolo parla da sé, ma ci vuole comunque una grande canzone per fare la storia del gruppo. 'Iron Maiden', la title track che dà il nome all’album e alla band, è una delle canzoni più rappresentative della Vergine di Ferro, che da trent'anni viene suonata ininterrottamente in sede live, così come da trent'anni i fan di tutto il mondo si emozionano e la cantano come una canzone nuova, mai paghi di sentirla dal vivo. È durante questo brano che il caro vecchio Eddie, la celeberrima mascotte immortale del gruppo, fa la sua comparsa insieme ai membri della band. Insomma, non è solo una canzone, ma qualcosa di più, che rappresenta non musicalmente ma idealmente la trentennale storia degli Iron Maiden.
Come un fulmine a ciel sereno, una chitarra squarcia il silenzio e ci consegna il riff di 'Iron Maiden'. È la chitarra di Dave Murray, seguita poi da quella di Dennis Stratton. Queste note sono l’emblema e l’essenza di questi giovani ragazzi inglesi. Accompagnati dalla title track, finiamo di gustarci gli ultimi secondi di questo disco LEGGENDARIO, che ha dato un contributo enorme alla nascita e al proliferare della NWOBHM e di tutto il metal.
GIUDIZIO FINALE: Un disco da 10 e lode, senza sbavature né errori, senza momenti morti né parti meno ispirate. Qui dentro c’è tutto il lavoro dei primi anni degli Iron Maiden. Un lavoro superbo, coronato da questo disco che li ha consegnati ufficialmente alla storia. L’unica nota negativa è forse un pelo, quasi impercettibile, di inesperienza e la produzione appena sufficiente, che nemmeno Steve ha mai amato molto.
E con questo chiudo, lasciandovi con uno dei più famosi ritornelli, forse IL più famoso della band, che ci ricorda cosa vuol dire Iron Maiden e cosa vuol dire essere parte di una delle più belle famiglie del mondo.
“Oh well, wherever, wherever you are,
Iron Maiden’s gonna get you,
No matter how far,
See the blood flow,
Watching it shed,
Up above my head,
Iron Maiden wants you for dead.”
A cura di Daniele 'Pdor The Walrus' Castelli
Ringraziamenti: Simone 'The Prisoner' Cosentino, Stefano 'Red Beast' Poggi, Luca 'Sephirock' Schiano, Sara Silvera Darnich per i consigli.